Da giovani, si devono prendere le occasioni al volo!
… non avendo un posto dove divertirsi un po’, senza essere interrotti da chissà chi!
La scuola era iniziata e le giornate si susseguivano uguali, scuola, casa, studio, oratorio, casa…..
Sul versante esperienze personali da un po’ non si muoveva nulla.
Dopo la metà di novembre una sera in oratorio c’era un incontro sulle attività del gruppo missionario, di cui facevo parte, (la mia è una famiglia molto religiosa). In effetti non avevo nessuna voglia di andarci, ma non avevo scelta, se non avessi partecipato il don l’avrebbe di certo riferito ai miei….
Entrai nella stanzetta dove era prevista la riunione, c’erano le solite anziane del gruppo vedove, il don, e il gruppo dei ragazzi di cui facevo parte, mi avvicinai a loro cercando un posto dove sedermi che non fosse troppo in vista. Una volta seduto una voce, da dietro di me disse: E’ un po’ che non ci si vede eh?” Mi voltai e vidi Alberto. “Ciao! Come và?” “Bene.” “Ma dove eri finito?” “Per un po’ ho cambiato giro. Ma ho deciso di tornare sui miei passi.”
La riunione iniziò interrompendo la nostra conversazione. Dopo un’ora e mezza finalmente tutto finì. Era andata piuttosto bene, l’unica incombenza che mi era capitata era quella di preparare i pacchi per le missioni, fortunatamente Alberto si era offerto di aiutarmi.
Usciti dalla riunione ci incamminammo, verso casa, e chiacchierammo del più e del meno, ma nessuno dei due fece menzione di quanto era accaduto la scorsa primavera. Ora potevo osservarlo bene: era carino, a modo suo, biondo con gli occhi azzurri, il fisico non era certo da culturista, anzi tirava sul rotondetto, ma questo ispirava tenerezza, forse anche per via dei capelli, che erano sottili, morbidi e leggermente ondulati, inoltre sembravano sempre spettinati, probabilmente aveva rinunciato da tempo a domarli. Parlava con una erre molto marcata che lo rendeva ancora più simpatico.
Imbacuccati nei nostri giubbotti passeggiammo un po’ verso casa sua ed un po’ verso casa mia. Alla fine era ora di cena, d’accordo che ci saremmo visti in oratorio, entrambi andammo verso casa.
Passarono un paio di giorni durante i quali molti impegni scolastici non mi permisero di andare in oratorio. Il venerdì pomeriggio comunque mi presentai per l’attività di preparazione dei pacchi per le missioni.
Entrai nel piccolo magazzino sotto la canonica e trovai il gruppo vedove già indaffarato a smistare generi alimentari, abiti, bibbie e rosari (sull’utilità di questi ultimi, per popolazioni che morivano di fame, ero piuttosto scettico), poi c’era Alberto che aveva già cominciato a preparare gli scatoloni che dovevamo riempire.
Mi avvicinai “Ciao.” “Ciao! Beato chi ti vede!” “Hai ragione, ma avevo un sacco da studiare.” “A chi lo dici! Il liceo è massacrante. Forse avrei fatto meglio a scegliere l’istituto tecnico come hai fatto tu.” “Non so che dirti, ti assicuro che fanno sgobbare anche noi!”
Ci mettemmo a lavorare: le vedove ci passavano le cose da inserire e noi le disponevamo negli scatoloni; spesso nell’inserire qualcosa nel contenitore, le nostre mani si toccavano, allora ci guardavamo e sorridevamo. Andammo avanti per circa un’ora, poi il gruppo si sciolse perché le vedove dovevano andare al vespro.
Uscimmo ed Alberto disse “Dai accompagnami a casa.” Era buio, e molto freddo, con una nebbia che era parecchio fitta. Ci avviammo verso casa di Alberto, non era molto distante: era un complesso di palazzine circondato da un ampio giardino.
Arrivati al cancello feci per salutarlo ma lui disse “Eh no ho detto a casa!” Intendendo il portoncino della palazzina dove abitava. Così ci addentrammo nel giardino dove le luci gialle, sfumate dalla nebbia, creavano ombre suggestive. “Accidenti se fa freddo!” disse. “Dammi la mano, te la scaldo io.” Afferrai la sua mano e la infilai nella tasca del giubbotto insieme alla mia. Ci stringevamo le mani e ci guardavamo sorridendo.
Arrivati sotto il portone tirò fuori le chiavi ed aprì. “Vieni dentro l’androne, almeno ti scaldi un po’ prima di andare a casa.” Entrai. Ci sedemmo sulle scale che scendevano in cantina. Gli presi di nuovo la mano e stringendola tra le mie comincia ad alitarci sopra. Poi me l’avvicinai alle labbra e baciai il palmo.
Lui ritrasse la mano, lo guardai un attimo preoccupato della sua reazione, ma mi afferrò dietro la nuca e, attirandomi a sé, mi baciò sulle labbra: la sua bocca era morbida e calda. Le nostre lingue si incontrarono.
Un rumore ci fece staccare: un altro inquilino rientrava. Appena prese l’ascensore Alberto mi prese per mano e mi trascinò giù per le scale, lì non potevamo essere visti.
Riprendemmo il nostro bacio. Ci abbracciammo. Alberto cercava di infilare le mani nel mio bomber. Mi slacciai la cerniera, e comincia ad accarezzarmi la schiena, mentre io gli palpo il culo da sopra i jeans. I nostri cazzi erano in tiro e si strusciavano uno contro l’altro.
Alberto mi sollevò il maglione e la maglietta carezzandomi sulla pelle nuda, ebbi un tremito. “Ho le mani fredde?” Chiese. “No. Non è per quello…” risposi io. La sua mano scorreva lungo la schiena e cercava di infilarsi nei jeans. Visto che il passaggio era troppo stretto, cominciò a slacciarmi la cintura. Lo fermai prendendolo per i polsi: “Ma che fai? Potrebbe venire qualcuno!”
Le mie proteste erano però tutt’altro che convincenti. Mi slacciò cintura ed abbassò la lampo dei jeans. Tornò ad accarezzarmi la schiena e scese lentamente abbassandomi i pantaloni, e le mutande, a palparmi le natiche. Il mio uccello svettò fuori.
Alberto lo afferrò immediatamente cominciando a masturbarmi. Poi si abbassò e lo prese in bocca. Ero troppo eccitato, vista anche la lunga astinenza, e bastarono un paio di succhiate che gli riempii la bocca di caldo e denso liquido….
Appena ripresomi dall’orgasmo vidi che lui si stava segando, decisi di ricambiare la cortesia, mi abbassai per fargli un bel pompino, ma arrivai appena in tempo per prendermi tutta quella buona sborra in bocca. Succhiai e leccai finché non ebbi pulito tutto il cazzo.
Ero ancora accosciato, quando la piccola porta che dava sui garage si spalancò: Alberto si abbassò il giubbotto per coprirsi il cazzo ormai moscio, io per fortuna mi ero già ricomposto. Era Giovanni il fratello maggiore di Alberto, che rientrava dal lavoro.
“Ehi. Che ci fate qui voi due?” Non sapevo cosa dire, ma per fortuna la penombra nascondeva il mio imbarazzo. Fù Alberto a rimediare: “Mi si è incastrata la cerniera del giubbotto e Sergio sta cercando di sbloccarla. Giovanni fece per avvicinarsi. Ed io, fingendo un ultimo strattone, sollevai la cerniera del giubbotto di Alberto fino al collo, “Oh finalmente si è sbloccata!” Dissi, sperando che non si notasse il tremore nella voce.“ Giovanni disse “Bene.” Poi rivolto ad Alberto “Muoviti che tra un poco si cena.” Fece un cenno di salyte, nella mia direzione, e si avviò per le scale.
Mentre saliva si voltò a guardarci, dubbioso sul vero motivo per cui fossimo lì.
Appena salì in ascensore, forse per la tensione, scoppiammo a ridere. “Pensa se fosse arrivato due minuti prima!” Disse Alberto. “Non farmici pensare! Mi tremano ancora le gambe!” Ok è tardi. Devo andare a casa.” Dissi. Alberto mi abbracciò, mi sussurrò “Grazie.” e mi baciò sulle labbra restando a guardarmi mentre mi dirigevo verso casa.
Il martedì successivo, era ancora giorno di scatoloni per le missioni. Il pomeriggio ero a casa a studiare quando suonò il telefono. Mia madre rispose, e poi la sentii che veniva verso la mia stanza; si affacciò “È un certo Alberto…” Andai al telefono. “Ciao.” “Ciao. Senti ti ho chiamato per stasera…”, “Non dirmi che non puoi venire a preparare i pacchi per le missioni!” mia madre, come spesso faceva, origliava dalla cucina. “Fammi finire! Certo che vengo…”; “Meno male, non potrei farcela da solo con le vedove!” Mia madre mi lanciò un occhiata di rimprovero. “Eh fammi finire!” “Ok continua” dissi. “Volevo dirti se dopo ti va di fermarti a cena da noi. Poi ci guardiamo un po’ di tv. Che ne dici?”
“Beh devo chiedere ai miei….” Allontanai la cornetta “Mamma! Stasera posso andare a cena da Alberto, dopo il servizio per le missioni?” Mia madre rispose “Alberto chi ?” Le spiegai chi era Alberto, anche la sua famiglia era molto attiva in parrocchia e mia madre non ebbe nulla da ridire, ma volle parlare, prima, con la mamma di Alberto. “Albi, mia madre vuole parlare con la tua, comunque ha detto che va bene.” “Splendido!” Rispose Alberto, ci vediamo alle sei per i pacchi. Poi chiamò la madre ed io passai la cornetta alla mia e la cosa si trasformò in una conversazione di venti minuti sui figli che pensieri, la famiglia, il caro vita, e bla e bla.
Tornai in camera mia a studiare. Mia madre arrivò poco dopo “Mi raccomando comportati bene stasera.” “Sì mamma.” “E ricordarti che poi dovremo ricambiare.” “ Va bene. Lo inviterò la prossima settimana.”
Il lavoro di inscatolamento sembrava non finire mai: finalmente ci avviammo verso casa di Alberto. La cena era ottima e la compagnia piacevole. La madre di Alberto non la smetteva di raccontare come si fossero subito trovate in sintonia con la mia. Il padre di Alberto faceva l’avvocato, come il mio, mi chiese quale fosse il mio cognome e si scoprì che si conoscevano benissimo. Arrivammo al dolce poi Alberto disse che saremmo andati in camera sua a vedere la tele. Ci alzammo e mi fece strada verso la sua stanza.
“Accidenti!” dissi “Hai un televisore tutto per te!” “Oh è un vecchio apparecchio. Quando mio padre ha cambiato il tv gli ho chiesto se potevo mettere in camera mia quello vecchio e lui ha acconsentito.”
La camera di Alberto era simile alla mia: un letto, un armadio, una libreria (dove stava il televisore), una scrivania ed una sedia ingombra di vestiti. Alberto accese la TV ed arrivò sua madre a chiedere se volevamo un the o una camomilla, rifiutammo, poi si fiondò sulla sedia cercando di raccogliere gli abiti del figlio e rimproverandolo perché non metteva mai in ordine.
Alberto disse che lo avrebbe fatto l’indomani. La madre desistette e riammucchiò il tutto sulla sedia. Poi si offrì di portarmi una sedia dalla cucina, ma Alberto disse che ci saremmo seduti sul letto.
Finalmente la madre di Alberto se ne andò. Accendemmo la tv. Io ero seduto sul bordo del letto. Alberto disse di togliermi le scarpe, così potevo metterti più comodo; levai le scarpe e ci sedemmo uno accanto all’altro appoggiati al muro e con le gambe incrociate. Le nostre ginocchia si toccavano. Alberto si era cambiato ed indossava una tuta da ginnastica, con la parte superiore chiusa da una cerniera.
Cominciò un film poliziesco, e per un po’ restammo a guardarlo. Poi arrivò suo padre a darci la buonanotte, raccomandandomi di salutare mio padre. Alberto a quel punto accostò la porta dicendo alla madre che era per non disturbare il padre. Poi tornò sul letto sdraiandosi a pancia sotto con il mento appoggiato alle mani riprese a guardare il film.
Io invece a guardare il suo culo, che era lì, a portata di mano. E il mio cazzo ebbe un fremito. Poi notai che Alberto si muoveva strusciandosi sulle coperte. Allungai una mano e gli accarezzai una coscia. Lui non reagì. Continuai ad accarezzarlo fino a raggiungere i glutei sodi e diedi una strizzatina. Alberto sospirò.
Insinuai la mano sotto la felpa e la infilai nei pantaloni. Cercavo l’elastico delle mutande, ma con mia grande sorpresa realizzai che non indossava nulla sotto la tuta: il porco! Comincia ad accarezzargli il culo. Poi Alberto sussurrò “Aspetta.” Tolse dall’armadio un plaid scozzese e lo stese sulle mie gambe, poi si sdraiò nuovamente coprendosi a sua volta con l’altro capo del plaid. Così nascosto ricominciai il lavoro interrotto.
Gli accarezzavo il culo, e facevo scorrere il dito nel solco tra le chiappe. Poi tirai fuori la mano, mi leccai il dito e comincia a titillargli il buchino. Alberto si muoveva assecondando le mie manovre. La posizione era un po’ scomoda, ma la situazione molto eccitante!.
Continuai a giocare con il buco del suo culo. Mi leccai nuovamente il dito e poi cominciai ad infilarlo nel culo di Alberto. Lui emise un breve lamento. Con l’altra mano mi stavo pastrugnando l’uccello dentro i jeans. In quel momento arrivò la madre di Alberto. Anche lei andava a dormire, ci disse di non fare tardi, che aveva promesso, a mia madre, che sarei andato a casa per le 11. Salutai, ringraziai e la rassicurai che sarei andato a casa di lì a poco. Avevo l’uccello che esplodeva per l’eccitazione! Mentre parlavamo con la madre, io avevo continuato a tenere il dito nel culo di Alberto muovendolo lentamente.
Uscita sua madre, Alberto si voltò a guardarmi. Poi infilò le mani sotto la coperta e si abbasso i pantaloni della tuta. Ora potevo agevolmente raggiungere il suo culetto: infilai nuovamente il dito, e subito dopo un altro. Alberto aveva gli occhi socchiusi e si mordeva il labbro inferiore. Cominciai a scoparlo con le dita. Poi scesi con la mano in mezzo alle gambe ed infilandola da sotto afferrai il suo cazzo e cominciai a segarlo.
Alberto si muoveva assecondando il ritmo, e venne copiosamente inondandomi la mano. Prontamente la estrassi leccando con gusto quel dolce nettare. Alberto ora era sdraiato con il volto appoggiato alle braccia, in estasi, Si voltò, si mise a sedere e poggiò la mano sulla mia patta che esplodeva. Lo fermai. “E’ tardi, devo andare.” “Ma…” “Non ti preoccupare. Mi rifarò.”
Mi rimisi le scarpe ed Alberto mi accompagnò alla porta dandomi un fugace bacio. Ed io me tornai a casa dove mi feci una sega grandiosa ripensando a quanto era accaduto.
Purtroppo all’epoca, due studenti inesperti non avevano molti posti dove potersi appartare, e nei mesi che seguirono furono rare le occasioni, di restare soli, abbastanza per potersi scambiare una sega o un bel pompino.
A febbraio si presentò l’occasione giusta. Mia nonna andava a trascorrere il solito periodo in riviera, quindi lasciò a mia madre le chiavi di casa perché andasse a bagnare le piante.
I miei erano entrambi molto impegnati con il lavoro, così proposi di pensare io alle piante della nonna. Mia madre ci rifletté un po’ poi ammise che era una buona idea: non sarebbe stata costretta ad allungare il percorso per venire a casa. Mi diede le chiavi e si raccomandò che non toccassi nulla e che mi ricordassi di chiudere bene la porta quando avevo finito. La rassicurai.
Lo stesso giorno chiamai Alberto, “Hai da fare oggi pomeriggio ?” “Nulla di particolare.” Rispose. “Allora potresti accompagnarmi in un posto?” “Dove?” “È una sorpresa!” “Come una sorpresa?” “Ah, mi raccomando mettiti la tuta da ginnastica, quella che avevi quando sono stato a cena da te…” Il silenzio che seguì mi disse che aveva capito. “Ci vediamo alle tre sotto casa mia.” “Ok.”
Alle tre ero sotto il portone ad aspettare. Anch’io indossavo una tuta e, some speravo avesse fatto anche Alberto, non avevo le mutande. Arrivò un po’ in ritardo, doveva aver appena fatto la doccia, perché sapeva di bagnoschiuma ed i capelli erano più ribelli che mai. Ci salutammo. “Dove andiamo?” Chiese. “Vieni.” Risposi.
La casa della nonna si trovava a pochi isolati. Prendemmo a camminare spediti, spinti dalla nostra eccitazione. Arrivati sotto il portone e cominciai a cercare la chiave per aprire, finalmente la trovai. Entrammo, salimmo le scale a tre e tre, ridendo. Arrivati all’appartamento delle nonna aprii le molte serrature e, finalmente, entrammo chiudendoci la porta alle spalle.
Ero appoggiato alla porta, Alberto si stava guardando intorno, io lo afferrai tirandolo a me. Lo baciai ed intanto gli levavo il giubbotto che cadde a terra, seguito subito dopo dalla felpa. Iniziai subito a leccargli, e succhiargli, i capezzoli. Lui mi tolse il bomber e la maglia quasi tutto insieme. Poi così abbracciati ci infilammo in salotto e cademmo sul divano. Continuavamo a baciarci con trasporto mentre le nostre mani erano già nei pantaloni: bravo Alberto, non aveva le mutande! Mi abbassai a leccargli la pancia, e l’ombelico, poi abbassando i pantaloni della tuta, tirai fuori il suo bel cazzo, leccandolo per tutta la lunghezza finendo per infilarmelo in bocca più che potevo dando inizio ad un pompino.
Alberto ansimava, ripetendo continuamente: “Sì! Sì! Sì!” Mi mossi velocemente togliendogli le scarpe, calze ed i pantaloni. Era nudo davanti a me, sul divano verde di mia nonna, ed era bellissimo. Lui si avvicinò e iniziò a leccarmi l’uccello da sopra la tuta. Poi scese, mi tolse le scarpe e le calze e cominciò a baciarmi e leccarmi i piedi.
Poi risalì, mi abbassò i pantaloni fino a sfilarmeli: riprese a leccarmi le gambe, fino alla piega dell’inguine. Poi mi baciò il cazzo e se lo prese tutto in bocca succhiando e leccando con avidità intorno alla cappella. Nel mentre gli avevo afferrato la testa e mi muovevo dentro la sua bocca cercando, ad ogni affondo, di entrare sempre di più. Interrompendo quel dondolare nella sua bocca, lo feci sdraiare a terra, sul tappeto persiano, e ripresi in bocca il suo cazzo; capì subito cosa stavo proponendo, e si avventò sul mio, in un fantastico sessantanove.
Succhiava con foga, mentre io gli leccavo le palle e con le dita gli stuzzicavo il buco del culo. Si fermò e mi disse “Leccami il buco del culo, ti prego!” Lo feci mettere a pecorina appoggiato al divano e cominciai a leccargli il solco tra le chiappe, poi mi avvicinai al buchetto rosa e lentamente iniziai a leccarlo usando solo la punta della lingua.
“Ti prego di più!” Spinsi con delicatezza sul buco che cedette subito dilatandosi per ricevere la mia lingua ben insalivata. “Ah sì! Così! Più in fondo!” Intanto mi masturbavo, ma non volevo venire subito. Volevo godermi quella situazione di intimità finalmente libera da dover essere attenti che qualcuno ci vedesse o interrompesse. Alternavo la lingua al dito, poi infilai due dita, Alberto ebbe un sussulto. “Ti faccio male?” chiesi “No continua ti prego!” Provai ad infilare un terzo dito, ma il buco era stretto e non ci riuscivo. “Aspetta.” Dissi. Andai in bagno a prendere la nivea della nonna. Spalmai con la crema il buco del culo di Alberto e le mie dita poi ricomincia ad infilarle dentro, prima una poi due poi tre e questa volta entrarono.
Alberto si era irrigidito, sembrava soffrire, “Se ti faccio male smetto subito.” “No, cioè un po’, ma continua…” In effetti doveva piacergli parecchio visto le condizioni del suo cazzo, che, come il mio, stava bello dritto e duro ed in più gocciolava sul tappeto della nonna.
Alberto si voltò a guardarmi ed io lo baciai con passione. Poi mi disse “Dai fammi godere! Scopami!” Lo feci sdraiare supino, mi posizionai tra le sue gambe, gli sollevai il culo, poi posizionai la mia cappella all’ingresso del suo culo e comincia a spingere.
Nonostante il lavoro di dita sembrava ancora troppo stretto, la faccia di Alberto era un misto di paura e voglia. Misi un altro po’ di crema e riprovai. Spinsi con forza e finalmente la cappella entrò. Vidi Alberto con una smorfia di dolore sul viso. “Non posso!” Dissi “Ti sto facendo troppo male…” e lui stoicamente: “Continua!”
Ripresi a spingere, andavo un po’ dentro, poi uscivo un poco e rientravo di più. Il cazzo era durissimo ed ogni volta pensavo che avrei sborrato tanto era stretto e caldo! Guardavo l’espressione contrita di Alberto. Ero tentato di lasciar perdere, quando fu lui a prendere l’iniziativa: iniziò ad arretrare con il culo, verso il mio cazzo stringendo i denti e, spinta dopo spinta, finalmente entrò tutto.
“Lo senti? Ora è tutto dentro.” “Sì mi sento pieno e voglio sentirlo di più…” Cominciai ad andare avanti e indietro lentamente, poi sempre più velocemente, ora l’espressione di Alberto era cambiata, il dolore aveva lasciato il posto al puro godimento: assecondava le mie spinte, poi intrecciò le gambe dietro la mia schiena e con quelle mi dava il ritmo che stava diventando sempre più impetuoso.
“Sì! Sì! Dai spingi forte! Lo voglio tutto! Di più!” Io ansimavo, ormai ero al limite. “Sto per venire…” “Sì! Dai vieni! Sborrami nel culo!” Ed intanto aveva accelerato i movimenti, mentre con una mano si masturbava l’uccello. “Dai! Sfondami! Sì! Ah come godo! Scopami!” Diedi due spinte profonde e gli scaricai nel culo tutta la sborra che avevo e nello stesso momento anche Alberto venne, emettendo un grugnito di soddisfazione e schizzando ovunque sulla sua pancia, sulla mia faccia, sul tappeto. Esausto, mi accasciai su Alberto, con ancora il cazzo nel suo culo.
Quando il cazzo mi si ammosciò scivolo naturalmente fuori e mi misi a pancia all’aria ad osservare Alberto, era bellissimo così soddisfatto e fradicio di sudore. Dopo un po’ andammo insieme in bagno a ripulirci.
Ci accoccolammo sul divano, facendo gli stupidi e commentando cosa avevamo appena fatto. Dopo un po’ mi resi conto che si stava facendo tardi: bagnai le piante e rimisi tutto in ordine. Poi ce ne tornammo a casa soddisfatti: io in particolar modo eccitato dall’idea che per tutto il periodo in cui la nonna era via, avremmo potuto ripetere e sperimentare anche tanti altri giochi.
“Chissà come starò io dopo che Alberto mi avrà rotto il culo, se mai succederà?” Si chiese Sergio, sorridendo e sentendo il proprio pisello dondolante, sotto la tuta che fremeva a quell’idea…